Antro delle sensazioni manifeste – una documentazione pittorica
BA Major Art – Graduation Project
2021.1
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni mi sono ritrovata in una condizione in cui il mio corpo stava e sta subendo una sorta di trasformazione a causa dell’insorgere di una patologia che sfida il mio equilibrio fisico e psicologico. Con la malattia si sono fatti spazio in me dei cambiamenti che in un primo momento hanno sconvolto la percezione di me stessa e del rapporto con il mio corpo. Sono emerse nuove sensazioni fisiche, nuove percezioni e nuove visioni, che singolarmente o collettivamente mi hanno in un certo senso sottomessa, facendomi pensare che i poteri che potevo avere su me stessa e sulla gestione o il controllo del mio corpo fossero sostanzialmente nulli.
L’insorgere di questa anomalia mi ha portata quindi a dover prendere una posizione nei confronti di me stessa spingendomi a mettermi più profondamente in contatto con il mio corpo e con quello che esso mi comunica attraverso l’esperienza di quelle nuove e sconosciute sensazioni. In risposta, ho quindi iniziato a pormi in una condizione di ascolto e di attenzione verso quei messaggi o segnali corporei, con la speranza di comprenderli o quanto meno di ricavarne un’interpretazione che mi portasse a ritrovare una connessione con il mio corpo.
Alla ricerca di una relazione più intima e introspettiva con me stessa, è conseguito il venire in particolare contatto con la più oscura e nascosta sfera propria dell’inconscio. Nell’intento di decifrare i messaggi corporei ricevuti quotidianamente durante il giorno, ho avvertito che questi messaggi potessero estendersi anche negli stati del sonno, manifestandosi in forma di immagini o simboli all’interno del contenuto dei sogni. Per questa ragione l’esplorazione che ho iniziato si espande ai piani dell’esperienza onirica ricercando anche in questa dimensione dei segnali – o per meglio dire dei simboli – attraverso i quali io abbia la possibilità in qualche modo di comprendere meglio il mio stato sotto l’influsso della malattia.
Da qui nascono la volontà e l’esigenza di cercare una possibilità di adattamento e di autogestione di fronte a questa sfida malattia-corpo che è in atto. Prende quindi vita il proposito di concepire la malattia in modo rinnovato, adottando un punto di vista non più passivo ma ponendomi nei confronti di essa in modo proficuo cercando di trarne qualche cosa di fertile. Tale esigenza viene elaborata nella messa in atto di un lavoro artistico generato da quello che può essere definito un sentire interiore che attraversa il mio corpo. In tal senso la malattia assume un significato nuovo, diventa una fonte di possibilità che, attraverso sintomi ed eccitazioni sensoriali comunica con le mie energie creative offrendo loro qualcosa di sconosciuto, e che come tale va esplorato.
Il mio esercizio all’interno di questo progetto è quello di indagare quella parte inconscia e introspettiva, che non è scollegata dalla razionalità ma che anzi lavora insieme ad essa. L’obbiettivo è quello di esplorare il mondo delle mie immagini interiori, un mondo che non rifiuta la ragione ma che piuttosto coopera con essa nell’ambito di questa esplorazione. L’indagine mira ad identificare quelle che sono immagini spontanee, o immagini mentali non preordinate, ponendole ed individuandole in rapporto con il mio stesso corpo nella sua condizione sotto l’azione della malattia, sia sul piano della fisicità che su quello della non-fisicità, annettendovi quindi anche “il versante dell’invisibile percepito occultamente”.
Queste immagini interiori si dividono in due gruppi in base alla loro origine:
a) immagini che derivano da frammenti di visioni formatesi in sogno durante il sonno e che sono riportate alla coscienza sotto forma di memorie oniriche. Queste visioni sono caratterizzate in particolare dall’iterazione entro più esperienze oniriche e/o dalla loro notevole intensità, percepita direttamente dal corpo sotto forma di eccitazioni sensoriali interne;
b) immagini che nascono nello stato di veglia durante momenti di particolare attività introspettiva e meditativa e che sono quindi delle visioni interiori. Sono immagini che vengono elaborate dalla mente entro attimi di autosservazione, attimi in cui la concentrazione è indirizzata principalmente sull’attività dei centri e delle facoltà sensoriali3 che operano nel corpo. Si può supporre che queste immagini bramino essere riconosciute come una traduzione visiva di queste attività sensoriali.
In particolare, l’attività di introspezione è stimolata da una questione centrale che scaturisce con l’insorgenza della malattia e delle sue conseguenze. Questo pensiero mi spinge costantemente a domandarmi che cosa abita il mio corpo oltre ciò che viene considerato fisico e quali sono le forze che agiscono o che possono agire in esso sia a causa della malattia che in contrasto ad essa.
Tale questione viene indagata mediante lo sviluppo di un’attenzione cosciente, attenzione che non crea nulla di per sé, ma che fa “scaturire le percezioni o le idee capaci di rispondere alle domande che io mi ponevo”.
Ciò porta a condurre un’esplorazione interiore delle forze e delle sensazioni che vengono da un lato stimolate nel corpo mediante la malattia, sia nello stato di veglia che nel sonno, e che dall’altro lato vengono ricercate coscientemente in opposizione alla malattia stessa.
Si mira così ad individuare dei meccanismi di astrazione di tali forze e sensazioni che permettano una valida e sincera rappresentazione e manifestazione delle stesse al di fuori del corpo. Il termine astrazione è qui da considerarsi nel suo significato enciclopedico quale “processo che porti a isolare una cosa da altre con cui si trova in rapporto, per considerarla poi come specifico oggetto d’indagine una volta prescisso da tale rapporto”. È utile comunque tenere presente che il concetto di “isolamento” si riferisce qui all’ambito della rappresentazione, per la quale le immagini interiori vengono idealmente traslate in immagini reali e di conseguenza isolate dal loro luogo naturale. L’astrazione delle immagini interiori può avvenire solamente in seguito ad una captazione delle forze e delle sensazioni che le suscitano. Questa captazione è a sua volta possibile solo grazie all’atto di attenzione o di autosservazione. Una differenza va delineata nella definizione del termine “autosservazione”. Esso non è da confondersi con la “riflessione”, in quanto “l’uomo che riflette esercita anche la sua facoltà critica”. Nell’attività di autosservazione l’energia psichica viene impiegata per seguire i pensieri involontari che hanno il carattere di rappresentazioni.
Dal momento che le immagini interiori derivano da stati di coscienza prodotti da stimoli interni al soggetto, e sono quindi per loro natura invisibili, l’astrazione funge qui da meccanismo che mira a rendere possibile una traduzione dell’invisibile al mondo sensibile. Tramite l’astrazione viene messo in atto il tentativo di cogliere le sensazioni e le forze (e quindi l’invisibile) nella loro essenza.
Il materiale dell’invisibile viene assoggettato a quelle capacità di oggettivazione e di proiezione che sono proprie del movimento astratto. Queste capacità offrono la possibilità di organizzare questo materiale entro un sistema, centrando “una pluralità di esperienze su un medesimo nucleo intelligibile”. Così facendo l’invisibile ha la possibilità di manifestarsi, di essere percepito e di occupare uno spazio nella sfera del tangibile e del visibile.
Mediante questa ricerca, nasce l’intenzione di fissare questo processo di captazione ed astrazione entro un linguaggio visivo che possa agire come stimolo per l’intelletto favorendo l’introspezione attraverso un senso di ciclicità. In questo processo vengono captate delle forze e delle sensazioni che si traducono in immagini interiori che a loro volta vengono astratte e isolate in immagini reali fissate su di un supporto. Le immagini reali che emergono come il risultato di questa astrazione, diventano così l’oggetto attraverso il quale si può fare ritorno, con rinnovata conoscenza, nella sfera originaria dell’interiorità.
Tale linguaggio non è però da considerarsi una verità di per sé. Esso ha origine dalle forze e dalle sensazioni indagate entro uno spazio soggettivo. Gli elementi di questo linguaggio risultano quindi inevitabilmente soggetti ad una certa relatività, in quanto sono condizionati dalle modalità, dallo spazio e dal tempo entro i quali agisce la malattia. Si tratta perciò di una verità che è vera nella propria condizione. Una verità che può considerarsi propria di un corpo che interpreta sé stesso, di un “Ego meditante che non può mai sopprimere la sua inerenza a un soggetto individuale che conosce tutte le cose in una prospettiva particolare”.
Il linguaggio visivo viene elaborato sulla base delle sensazioni e, come asserisce Maurice Merleau-Ponty, “ogni sensazione è una nascita e una morte. Il soggetto che la esperisce comincia e finisce con essa e, necessariamente la sensazione si rivela a sé stessa in un ambito di generalità, viene dal di qua di me stesso, dipende da una sensibilità che l’ha preceduta e la sopravvivrà”. Un concetto analogo si ritrova all’interno del Libro tibetano dei morti dove si afferma che in ogni esistenza e forma o materia non esistono stati definitivi, “ogni momento è diverso da quello che lo ha preceduto, però è anche il punto di inizio del momento che segue, il momento che lo indirizza, che fornisce indicazioni alle condizioni esistenziali che seguono”.
Il linguaggio visivo viene quindi sviluppato entro uno stato che non è da considerarsi immutabile o permanente. Si tratta piuttosto di uno stato intermedio e transitorio che, per queste caratteristiche, è uno stato entro il quale può avvenire una trasformazione.
Qui, il linguaggio visivo in questione trova nella pittura il suo mezzo espressivo in quanto strumento in grado di cristallizzare e concentrare le visioni entro i confini delle tele che, come risultato della ricerca, vanno a costituire una documentazione dello stato psichico interiore. Per illustrare meglio il ruolo della pittura in questo progetto, cito una frase tratta dal libro L’occhio e lo spirito di Maurice Merleau-Ponty:
“un fuoco vuol vivere, si sveglia: trova la sua strada lungo la mano conduttrice, raggiunge il supporto e lo invade, poi chiude, favilla saltellante, il cerchio che doveva tracciare: ritorno all’occhio e al di là”.
Viene elaborato così in sostanza un circuito entro il quale non esiste rottura, che aspira ad alimentare un flusso perpetuo tra l’interiorità e la manifestazione. Grazie alla pittura, viene messo in atto il tentativo di rendere visibili delle forze che non lo sono, aspirando a rendere riconoscibile la rappresentazione visiva di ciò che nel corpo è invisibile.
LA MALATTIA COME FONTE DI POSSIBILITÀ
Nell’ambito dell’attuale progetto la malattia viene concepita come un fenomeno che in un determinato tempo e spazio colpisce il corpo attraverso l’energia di particolari forze, causando in esso nuove sensazioni e stimoli sconosciuti. Pur essendo questa manifestazione un evento sovrastante, che inizialmente illude all’annullamento o all’indebolimento delle forze coscienti che autogestiscono il corpo in uno stato di normalità (ossia quando la malattia non esiste), è da questa stessa manifestazione che nasce la volontà di opporsi a quell’illusione di impotenza e incontrollabilità.
Dal momento che la malattia, le forze e le sensazioni che essa stimola, agiscono non solo a livello fisico ma anche psicologico, la ricerca si pone di indagare questi elementi esplorandone cause e caratteristiche su diversi piani. Il fatto che la patologia determini un’alterazione nel modo di vivere il corpo, implica il desiderio di ritrovare un rapporto col corpo stesso che sia libero dalle interferenze generate da quell’anomalo senso di costante scomodità e disorientamento.
Per seguire tale scopo e trovare nuove interpretazioni, è conveniente riferirsi a tre particolari conferenze tenutesi dall’antroposofo Rudolf Steiner nel maggio del 1910 ad Amburgo. Nei suoi interventi, pubblicati nel libro Le manifestazioni del karma, Steiner considera quella che può essere una causa spirituale nelle malattie, che è da ricondursi all’azione del karma nella vita di ogni singolo individuo. In particolare, si evidenzia come “le cause spirituali non sempre devono essere comprese come le cause materiali, e neppure possono essere combattute alla stessa maniera. Non si deve neanche pensare che, combattendo le cause spirituali, si sia esonerati dalla lotta contro le cause materiali”.
Conducendo un’analisi sulle osservazioni scientifico-spirituali sul tema della malattia, Steiner riconosce l’esistenza di una possibilità di guarigione interiore. Partendo dall’individuare come nelle piante si può notare la presenza di forze risanatrici interne che risiedono nell’organismo e che intervengono in caso di lesione derivante da stimoli esterni, si passa al cercare di comprendere la malattia e la guarigione nell’uomo in quanto essere più complesso perché dotato di “più corpi”.
Si riconosce così come la malattia possa avere uno scopo karmico nella vita dell’essere umano.
“La legge del karma responsabilizza l’uomo verso le proprie azioni perché ognuna di esse ha inevitabilmente una conseguenza, visibile o invisibile”.
Con la malattia, l’individuo è portato a sviluppare in sé delle forze curative necessarie e, così facendo, sviluppa la possibilità di irrobustire la sua interiorità.
Attraverso il superamento della malattia, l’uomo si pone in condizione di avere forze perfette che, prima della malattia, erano presenti nel suo organismo in forma imperfetta. Si può parlare quindi di un fenomeno di “autoguarigione” nel senso che “la malattia da nessun altro motivo viene provocata, se non da quello di avere la possibilità della guarigione”. Di particolare interesse per la ricerca, è ciò che Steiner individua come trasformazione della malattia in un processo spirituale che può avvenire solamente attraverso una forte volontà ed un “lavoro animico” da parte della persona malata.
Questo processo di spiritualizzazione della malattia è esattamente ciò a cui il progetto di tesi aspira: ritrasformare la malattia in una sorta di forza feconda ponendola in comunicazione con le mie energie creative per lo sviluppo di un lavoro artistico che, originandosi negli intimi piani dell’interiorità, mira a favorire la manifestazione di determinate forze e sensazioni. Così facendo, queste ultime trovano il loro posto nel mondo tangibile e divengono oggetto di un’osservazione nuova. Per l’artista, le forze e le sensazioni manifeste risultano così essere delle educatrici che favoriscono un rischiaramento del nucleo energetico della psiche e lo sviluppo o il recupero della capacità di azione autonoma e libera.
I FRAMMENTI ONIRICI
L’interesse per la dimensione del sogno scaturisce da particolari circostanze notturne che, sotto forma di immagini e di simboli onirici, rimarcano gli effetti delle forze e delle sensazioni che agiscono nello stato di veglia. L’importanza che la sfera onirica assume all’interno del progetto, è da ricondurre ad un’ipotetica potenza diagnostica dei sogni. Infatti, poco prima di venire effettivamente a conoscenza della patologia, ho frequentemente vissuto nel sonno degli episodi onirici il cui contenuto ha provocato degli stimoli riconducibili a quelli che sarebbero stati in seguito generati dalle sensazioni diurne derivate dalla malattia.
Se queste esperienze siano state reali premonitrici della patologia non è di certo un fatto comprovabile. L’idea che quei sogni potessero effettivamente segnalare al corpo il formarsi di un’anomalia fa però da guida alla ricerca di corrispondenze tra le forze psichiche che danno origine a determinati sogni e quelle che lavorano nello stato di veglia. Più in particolare questa ricerca tende ad identificare la malattia come un’istigatrice del sogno. In questo senso, vengono prese in considerazione le “eccitazioni soggettive interne dei sensi come fonti di sogno”, eccitazioni che vanno individuate nell’organismo piuttosto che fuori di esso e che vengono trasformate nel sonno in immagini oniriche. In questo senso si può dire che il sogno è produttore di nuove visioni che, come le forze e le sensazioni che agiscono durante il giorno, hanno un carattere di apparente dominanza sul corpo.
Nella loro dimensione, le immagini e i simboli onirici lasciano ulteriormente intendere un senso di impotenza, accentuando l’illusiva debolezza del corpo sotto l’influsso della patologia.
Le immagini oniriche differiscono dalle immagini che si formano negli stati di veglia per il loro carattere emblematico. Essendo una realtà satura di simboli che si contraddistingue per la sua frammentarietà, i sogni hanno la capacità di confondere e di creare un certo turbamento. Di conseguenza le rappresentazioni oniriche riconducibili alla patologia non si lasciano scoprire in maniera chiara e precisa, il loro contenuto rimane celato da una certa oscurità e ambiguità che vanno ad escludere qualsiasi certezza. Per questo, è di fondamentale interesse per l’indagine come determinati frammenti vengano riportati così intensamente alla memoria e come essi insistano ad essere posti in stretta relazione con la malattia.
In un meccanismo analogo a quello descritto da Didi-Huberman, nelle sue parole:
“Come se il lavoro onirico fosse mosso dalla paradossale sfida di una visualità che al contempo s’impone, ci turba, insiste e ci segue – nella misura stessa in cui non conosciamo ciò che in essa ci turba, di quale turbamento si tratta, e che cosa questo possa significare”.
Infatti, come già notato da S. Freud, si potrebbero riconoscere i sogni come veri e propri sintomi patologici. In questo caso però, il proposito è quello di indagare quelle rappresentazioni oniriche che rievocano l’essenza delle forze e delle sensazioni diurne, alterandola però secondo la propria poetica.
Per poter indagare il contenuto di determinate esperienze oniriche, risulta necessario seguire i due mutamenti dell’individuo introdotti da S. Freud nell’ambito dell’assimilazione del sogno al sintomo, ovvero “un aumento dell’attenzione per le proprie percezioni psichiche e l’eliminazione della critica che generalmente vaglia i pensieri che gli vengono”. L’aumento dell’attenzione nei confronti delle percezioni psichiche è un esercizio necessario sia per l’indagine onirica, sia per favorire quell’attività introspettiva legata alla sfera delle immagini interiori. Allo stesso modo, il pensiero critico e il giudizio vengono allontanati in entrambe le dimensioni allo scopo di far emergere il contenuto delle due sfere nel modo più spontaneo possibile.
All’interno del linguaggio visivo che viene elaborato come risultato del progetto, i frammenti onirici occupano uno spazio che si pone in parallelo allo spazio occupato dalle immagini interiori. In tutti e due i casi, le immagini “scompaiono in fretta come oggetti definiti e si fondono poco a poco per divenire semplici momenti inintelligibili di noi stessi”.
Nelle tele, le immagini oniriche si presentano mantenendo la loro lacunosità e sconnessione. Per far fronte a queste ultime due caratteristiche elencate, si ricorre ad un espediente che permette di ricreare una certa unità senza l’obbligo di mettere in relazione tra di loro le diverse immagini. Si tratta della struttura del trittico entro la quale non esistono rapporti di tipo narrativo o logico. Nel trittico la relazione che intercorre tra le tele incarna un fatto che è comune ad ogni figura presentata in esse. Questo fatto comune risiede nell’intensità propria di ogni simbolo onirico che viene considerato, nonché nella trasposizione di questa intensità entro la realtà della coscienza desta che la interpreta.
Le immagini oniriche diventano così una possibile fonte di informazioni e, idealmente, aiutano ed espandono il processo di riconnessione con il proprio corpo. Il fatto che le immagini oniriche, come le immagini interiori, vengano traslate in immagini su tela, fa si che esse siano presentate come elementi di un’osservazione che non è più esclusivamente rivolta verso l’interno, ma che si fa oggettiva. Le immagini oniriche che si mostrano al di fuori della loro sfera d’origine, sono quindi immagini destinate alla condivisione.
LE VISIONI DERIVATE DALL’AUTOSSERVAZIONE
Vista l’intensità di particolari sintomi patologici che condizionano il mio corpo, mi sono ritrovata con il tempo a sviluppare involontariamente un atteggiamento di attenzione nei confronti di essi. Quando mi sono resa conto che quest’attenzione mi permetteva di recuperare parzialmente il controllo del mio corpo e di acquietare temporaneamente l’attività di quei sintomi, ho capito che potevo elevare l’attenzione ad un processo più efficace. Essa poteva diventare un rimedio, seppur momentaneo, per contrastare la malattia. Potevo creare una dimensione privata, entro la quale sperimentare una progressiva riconnessione con me stessa.
Ho iniziato quindi a riservare quasi quotidianamente dei momenti dedicati ad un’attività di introspezione e di autosservazione entro i quali la mia attenzione viene volontariamente indirizzata su particolari regioni corporee dove l’intensità dei sintomi è maggiore e più persistente.
In questa mia personale esperienza, ho visto affiorare delle visioni interiori provenienti da una spontanea elaborazione mentale che si innesca proprio entro questi momenti di autosservazione. Ho inoltre notato che, orientando coscientemente queste visioni interiori verso quelle zone corporee maggiormente attaccate dalla malattia, le visioni assumono forme via via più nitide. Da qui deriva il proposito di identificare dei veri e propri centri all’interno del corpo, sui quali condensare l’energia psichica durante l’autosservazione per favorire il fluire delle visioni interiori. Queste immagini mentali, insieme alle immagini del sogno, sono elementi di forte interesse per l’attuale ricerca in quanto possono costituire valide fonti di informazioni utili a stabilire una rinnovata connessione con il mio corpo.
Come nel caso delle immagini oniriche, anche nei confronti di queste visioni interiori viene adottata un’attitudine che mira ad tralasciare ogni facoltà critica che potrebbe contaminare la spontaneità delle visioni stesse. Le immagini interiori possono essere interpretate nell’ambito del linguaggio visivo come il prodotto (artistico) che emerge dai rapporti di scambio che intercorrono fra lo psichico e il fisiologico. Più in particolare, le disposizioni fisiologiche rappresentano in questo caso il territorio entro il quale viene spontaneamente elaborato il disegno generale degli atti psichici.
Dunque, le immagini mentali che si formano come sintesi tra l’aspetto fisiologico e quello psichico, non risultano essere delle copie o dei ricalchi prodotti nell’ambito di un “bazar privato”. Pur derivando dallo spazio della natura di sé, queste immagini non sono la conseguenza di una conversione irrazionale, ma il materiale che emerge da un processo che si sviluppa secondo un’analisi intenzionale. Analisi che aspira come risultato a traslare le immagini interiori in immagini reali facendole diventare, insieme alle immagini oniriche, oggetto di osservazione e di condivisione.
Le immagini interiori, che sono connesse ai centri corporei sottoposti alle più forti eccitazioni dovute alla malattia, vengono registrate e conseguentemente tradotte al mondo manifesto grazie alla pittura. Nel divenire i contenuti dei dipinti, esse si propongono come “l’interno dell’esterno e l’esterno dell’interno”, riflettendo nella sfera del tangibile alcuni elementi della soggettività da cui provengono. Esse vengono dislocate dal loro essere interiori per essere presentate e isolate entro i confini delle tele, isolamento che permette di rompere con la rappresentazione e di liberare le figure attenendosi al fatto.
LE TELE
L’indagine condotta nella dimensione di questo progetto trova la propria concretizzazione mediante la pittura. L’analisi, come già illustrato, si focalizza sull’esperienza personale vissuta entro due particolari campi dell’interiorità in una condizione di apparente debolezza causata dalla patologia. Queste due sfere corrispondono da un lato al mondo onirico e, dall’altro lato ad uno spazio privato all’interno del quale viene esercitata un’attività di conscia introspezione.
Le sensazioni e le visioni interiori che si rivelano nello spazio di queste due sfere, vanno a cristallizzarsi nei dipinti da me creati sotto forma di immagini e figure che abitano la superficie delle tele.
Vista la distinzione tra le due dimensioni entro le quali si muove la ricerca, i dipinti si suddividono a loro volta in due gruppi:
a) Il gruppo costituito dal Trittico dei frammenti onirici,
b) Il gruppo delle immagini interiori formato dalla serie dei Centri energetici e dalle singole tele intitolate La Regolatrice sregolata e Trasformazione instabile.
La serie è a sua volta composta da tre tele, i titoli delle quali sono: Assorbimento, Acquietamento e Adattamento.
Trittico dei frammenti onirici
Nel primo gruppo di opere, ogni dipinto che va a formare il trittico misura 60×80 cm. Nello spazio delle tre ante del trittico le figure sembrano fluttuare nello spazio.
Tra le immagini rappresentate non intercorre alcun nesso logico o narrativo, esse sono indipendenti le une dalle altre e corrispondono a memorie oniriche legate a sogni sempre differenti. Questo non nega però che alcune figure possano ritrovarsi ripetute e ciò è dovuto alla reale iterazione di quelle stesse figure all’interno di differenti momenti onirici. Le rappresentazioni che si manifestano nel Trittico dei frammenti onirici mantengono quel loro naturale carattere di sconnessione che contraddistingue il materiale del mondo onirico. 14
Centri energetici
In questa serie, che fa parte del gruppo di tele che ha origine nella sfera delle immagini interiori, si trovano tre dipinti di uguale misura (60×60 cm).
In ogni tela viene fissata una visione interiore proveniente dall’attività di autosservazione, attività che viene orientata verso quei centri corporei che sono maggiormente colpiti dagli scambi che intercorrono tra corpo e malattia. In modo più specifico, ogni tela corrisponde ad un preciso centro corporeo e incarna la traduzione visiva delle sensazioni e delle energie che scorrono costantemente attraverso quella determinata regione fisica.
In Assorbimento, Acquietamento e Adattamento vengono rispettivamente presi in considerazione il centro orale/laringeo, il centro delle facoltà psichiche e il centro delle vibrazioni cardiache.
Questa serie è stilisticamente caratterizzata da un predominante utilizzo della simmetria. Dal momento che le energie e le sensazioni che vengono rappresentate nelle tele provengono dallo spazio del corpo, esse ereditano da quest’ultimo quella sua caratteristica compositiva che è la quasi completa simmetria tra le parti.
La Regolatrice sregolata
Questa tela ha una dimensione di 40×40 cm ed è ruotata di 45 gradi rispetto a tutte le altre. In questo dipinto il soggetto rappresentato è di nuovo un centro corporeo ma, in questo caso, si tratta dell’esatto organo dal quale la patologia ha origine.
Trasformazione instabile
In questa tela (che misura 40×50 cm) è contenuta la rappresentazione del corpo in quanto percepito nella sua esteriorità nell’ambito del flusso di quella metamorfosi incontrollabile che è indotta dalla malattia.
All’interno del progetto, i dipinti assumono dunque il ruolo di documentazione dello stato interiore, e traducono in forma intelligibile le esperienze vissute fino a questo momento nell’ambito delle stimolazioni patologiche.
La pittura incarna un sistema che offre la possibilità di oggettivare e condividere quelle forze e sensazioni che animano la mia soggettività e che per questo sono oggetto di ricerca. Le tele sono quindi gli elementi che permettono di suscitare quel movimento di ciclicità che si muove tra interiorità e manifestazione.
Nel loro essere permanenti, visibili ed osservabili, le tele permettono di condividere e di comunicare con altre soggettività (quelle proprie delle individualità che vengono a contatto con questo lavoro artistico) l’esperienza vissuta nell’intima soggettività dell’artista. In effetti, le opere rappresentano la reale espressione di una richiesta di ascolto e di attenzione. In aggiunta, i dipinti simboleggiano per l’artista una fonte di arricchimento che rende possibile un ritorno verso la propria interiorità attraverso un punto di vista rinnovato e rinvigorito.