The Pink Forest
BA Practice Based Course
2021
semester
Sul lungotalvera di Bolzano si trova un edificio dalla forma semplice ma dal colore particolare. É rosa. A prima vista sembra essere disabitato ma non lo sarà ancora per molto… l’abbiamo soprannominato Pink Pavilion. Dopo averne studiato per quattro mesi la forma, i difetti e le sue potenzialità, ho progettato un innesto architettonico all’esterno e ripensato gli interni per poter ospitare un centro culturale e uno spazio espositivo.
Un innesto è già stato progettato per questo edificio, un’orrenda scala che porta direttamente una finestra-porta al primo piano la quale, probabilmente, è l’unico ingresso, dal momento che il piano terra sembra essere completamente abbandonato. Questo elemento è stato il punto di partenza della mia ricerca. Da un lato volevo rimuovere al più presto quella scala e dall’altro mi ha fascinava entrare in un edificio dalla finestra. Con un intervento simile concettualmente al Centro Pompidou di Parigi, ho deciso di portare all’esterno le scale per muoversi sui tre piani in modo tale da sfruttare al massimo la superficie interna. Ispirato dallo stile e il metodo degli architetti giapponesi Sou fujimoto e Junya Ishigami ho realizzato una foresta di pilastri bianchi e pedane. Questa fitta disposizione di pedane a 40 cm l’una dall’altra crea una serie di corridoi, scale e ingressi attraverso i quali il visitatore può muoversi attorno all’edificio ed entrare dalle finestre dei tre piani a suo piacere.
Avendo liberato gli spazi interni dalle scale avevo la possibilità di sperimentare liberamente con gli interni. Con in mente i progetti e gli studi sulla foresta di Ishigami ho deciso di sorreggere strutturalmente i piani con dei pilastri simili a quelli esterni, lasciando lo spazio interno uno open-space interpretabile a seconda dell’utilizzo.
Tendendo delle vele tra questi pilastri si può creare un percorso espositivo in cui il materiale viene presentato su queste vele o su piedistalli. Il visitatore si muove attraverso gli spazi perdendo la concezione dell’orientamento. Entra ed esce dall’edificio attraverso le finestre, spostandosi sui diversi piani. Percorrere questo labirinto espositivo il visitatore ha una percezione dello spazio molto più ampio di quello che è realmente.
Lo stesso spazio però può essere reinterpretato per un workshop. Inspirato dal lavoro condotto dallo studio albori assieme a migranti in Italia, ho cercato di creare uno spazio lavorativo che possa contenerne un espositivo. Il “Mile of String” di Marcel Duchamp viene rivisitato e diventa il filo conduttore dell’esperienza. I tavoli in cui avviene il workshop sono collegati tutti allo stesso epicentro, dal quale si sviluppa la mostra. I lavori vengono esposti come panni stesi.
Infine ho rivalutato anche lo spazio esterno composto da un giardino all’altezza del primo piano. l’innesto si sviluppa sopra questo sorretto da una serie di pilastri. Tra questi crescono anche piante di bambù che sembrano prendere il posto dei pilastri, come l’installazione verde progettata da Michel Desvigne per l’Hangar Bicocca. Tendaggi scorrono sulla struttura superiore riparando dal sole o pioggia. In questo spazio una serie di tavoli viene disposta a serpentone per creare una lunga tavolata per un buffet di inaugurazione del nuovo centro culturale.